yoga non duale advaita
Teatro Non Duale
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teatro
DOMANDE

Yoga vedanta tradizione non dualità


“Mi domandi che cos'è la vita. E' come se mi domandassi che cos'è una carota.
Una carota è una carota e non c'è niente da spiegare." Anton Cechov
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mistero emozione maschera

Cosa significa "teatro non duale"?
La definizione si riferisce alle tradizioni orientali della Non Dualità e in particolare allo Shivaismo non duale del Kashmir, in cui il teatro è considerato arte tradizionale, cioè come celebrazione del presentimento che ciò che siamo è al di là della persona, vivendo direttamente l'intensità, fondale perenne che illumina l'esistenza di tutto. Nel mondo tridimensionale questa unità è lo spazio vuoto in cui si trovano le varie forme. Nella musica è il silenzio su cui tutte le musiche si svolgono. In teatro è il palcoscenico su cui gli attori giocano i drammi e le commedie. All' interno dell'attore è l'ascolto, la calma in cui tutte le emozioni si manifestano (vedi la Maschera Neutra). Questo vuoto, dal punto di vista della maschera personale è un'assenza di qualcosa perché la mente non può concepirlo, ma in realtà è il campo aperto di possibilità in cui ogni cosa può manifestarsi, anche la mente. In sintesi, il teatro non duale è l'arte di accogliere il sentire del momento presente prendendo consapevolezza delle interferenze psicologiche che bloccano il dispiegarsi integrale delle emozioni attraverso di noi.
A chi si rivolge?
Questo orientamento è indicato per chi ha una risonanza con la non dualità e una attrazione o curiosità per il teatro come mezzo di indagine di sé stessi (non è necessario avere già esperienza teatrale), il desiderio di conoscersi e il presentimento della tranquillità, al di là di ogni attività individuale. E' indicato ai praticanti di yoga o meditazione per integrare le emozioni e le dinamiche di relazione con l'Altro, che è un riflesso di sé. Il teatro non duale svela, attraverso le maschere, il funzionamento della maschera personale: l'immaginario di desideri, paure e sopravvivenza psicologica che nasce nel momento in cui ci prendiamo per qualcuno. La visione del funzionamento personale riorchestra spontaneamente la vita interiore, purché non ci sia aspettativa in tal senso. Chi infatti mira intenzionalmente a un risultato perché ha l'urgenza interiore di cambiamento, prova a esplorare cammini filosofici, iniziatici, esoterici, mistici, new age, alimentari, meditativi, geografici ma la ricerca è senza fine perché la maschera non può trovare in questi cammini ciò che è dietro di lei. Il cambiamento consegue spontaneamente dall'intuizione, non ne è mai la causa. Ogni attività o sforzo intenzionale per trasformarsi, non può che dare solo compensazioni momentanee perché la maschera non può cambiare sé stessa ma solo vivere l'illusione di poterlo fare. "La mente non può cambiare la mente." Jean Klein
A cosa serve?
A nulla, se ci si avvicina con l'idea che la pratica debba portare qualcosa di prefissato. Le arti tradizionali non hanno un fine utilitaristico, sono senza scopo e senza intenzione. Sono delle celebrazioni della Bellezza, un'offerta senza aspettative, oltre alla gioia che si ha durante la pratica.  Nel momento in cui ci si avvicina per ottenere qualcosa, prima o poi si esce dall'orientamento non duale e ci si incatena a un risultato in un futuro; cosa che facciamo costantemente nella vita di tutti i giorni e che ci impedisce di ricevere cosa ci dona il momento presente. "Quando sono nella richiesta, non posso ricevere nulla. In qualunque aspetto della vita." Eric Baret

L'unico indicatore è la gioia, il piacere di conoscere il proprio funzionamento, scoprire la meravigliosa tattilità del corpo, vedere i meccanismi che agitano la maschera personale. La visione del funzionamento della persona è la dimostrazione che c'è qualcosa al di là della maschera, libero dai suoi antagonismi. Riunirsi per il piacere di sentire questa possibilità, provare la gioia di esplorare le emozioni insieme e di vivere il silenzio da cui nascono e muoiono. Nessuna evoluzione, nessuna purificazione, nessun miglioramento personale, solo la celebrazione dell'Intensità della vita. In questa Intensità la maschera spontaneamente svanisce insieme a tutte le sue illusioni di purificazione, miglioramento, evoluzione. Cosa rimane? L'ultima verità, la gioia senza causa.
Cosa cambia nella mia vita?
Un'arte tradizionale non si pratica con l'aspettativa di qualche cambiamento ma solo per la gioia che ci dà la pratica. L'intenzione del cambiamento paradossalmente non fa che alimentare gli stessi schemi che non accettiamo. Un orientamento libero da pretese di trasformazione spontaneamente induce una riorchestrazione dei dinamismi che ci attraversano. Esteriormente non cambia nulla si continua ad arrabbiarsi, soffrire, amare, desiderare, non c'è scelta in tutto questo. L'unica differenza è che non pretendo più di sentire diversamente da ciò che mi arriva ma anzi, ponendo enfasi sull'ascolto di sé stessi, può accadere di rendersi consapevoli di tutti questi movimenti senza commenti o giudizi. Questa visione libera da pregiudizi è il cambiamento e permette di vivere più liberamente le emozioni senza distorsioni psicologiche, lasciandole libere di dispiegarsi e spegnersi nella calma. Si può sentire la paura nel corpo senza essere impauriti, sentire come la rabbia acceleri il battito cardiaco, pulsi nelle tempie, senza essere arrabbiati, e queste constatazioni fisiche portano fuori dal dinamismo che, non essendo più alimentato, si risolve da sé. Un giorno si rivela spontaneamente l'intuizione che io non sono la maschera e le "mie" emozioni ma l'apertura in cui il corpo, le emozioni, i pensieri appaiono. Tutte queste sono solo parole, finché non divengono un vissuto reale.
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Il teatro non duale non è una terapia, non è una cura e non ha nessuna utilità se praticato con intenzionalità di far accadere qualche cosa dentro sé stessi. E' la celebrazione dell'unità della coscienza su cui emergono tutte le contrapposizioni apparenti, l'espressione tramite la pratica teatrale del presentimento che non siamo solo una maschera. Quando arriva spontaneamente questa chiarezza, ci si rende conto che fuori dall'immaginario di essere qualcuno, non c'è niente da diventare, niente da curare, nessun problema da risolvere e si provano sporadicamente dei momenti di gioia senza causa dai quali bisogna lasciarsi prendere integralmente senza interferenze mentali.
Hai detto che l'io non può essere consapevole, data la sua natura relativa e frazionale e quindi l'idea di diventare più consapevoli è illusoria; ma io dopo questa giornata mi sento più consapevole.
E' l'io che si è appropriato della consapevolezza. Come si appropria delle emozioni e di ogni sentire che ci attraversa per perpetuare la sua realtà immaginaria. La pratica di oggi, enfatizzando l'apertura che soggiace a tutto, ha reso meno densa la compagine psicofisica. Questa rarefazione ha permesso alla luce del fondale senza tempo (come lo chiama Jean Klein) di emergere "di più". Questa maggiore chiarezza che andrebbe lasciata risuonare senza commenti o conclusioni, viene intercettata dall'io che ne fa un'esperienza e proprietà personale facendone una sua storia. Quella luce non proviene dall'io.

Pensate a un cielo nuvoloso con nubi dense e nere e a un cielo nuvoloso con nubi bianche. Esteriormente può sembrare che le nubi bianche siano "più luminose" ma sappiamo che La luce non viene dalle nubi bensì da qualcosa dietro di loro. Le nubi bianche la lasciano trasparire di più perché sono meno dense di quelle nere. Bisogna allora cercare di essere meno densi? Questo proposito ottiene l'effetto opposto perché ogni tentativo di cambiamento intenzionale densifica l'idea di un io separato che ha progetti, evoluzioni, purificazioni. Ascoltare la propria densità senza la fantasia di cambiarla, senza giudizi e senza intenzioni è già spontaneamente la rarefazione dell'io, perché quell'Ascolto è la luce stessa..


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