yoga non duale advaita
Teatro Non Duale
.
teatro
SPUNTI

Yoga vedanta tradizione non dualità


"A poco a poco si penetra nel movimento nella sua profondità,
alla ricerca della Permanenza." Jacques Lecoq
teatro non dualità adavita shivaismo

Qualche seme per iniziare a conoscersi.
Non fermarti alle parole, senti a cosa puntano.

mistero emozione maschera

Buon ascolto.

mistero emozione maschera
Maschere mobili e maschere fisse
"Vedere il meccanismo del nostro funzionamento.” Eric Baret

Ogni immagine di sé stessi è una maschera. Le maschere sono di due tipi, mobili e fisse. Le maschere mobili sono quelle che nascono dalla situazione che viviamo di momento in momento, ad esempio madre con i figli, amante con la compagna, guascone con gli amici, sergente con i soldati, oppure Amleto su un palcoscenico. Queste maschere sono leggere e funzionali, sorgono dall’ascolto del momento presente e si integrano con la situazione nella sua globalità. Da questo ascolto, emerge la risposta appropriata, l’azione giusta, e una volta terminata la situazione la maschera svanisce nell’ascolto senza residui psicologici, per accogliere altro in modo fluido e intelligente secondo tutte le variazioni che la vita propone.

Le maschera fissa invece è la personalità, l’ego, quella per cui ci prendiamo in maniera seria e continuata, l’immaginario storico personale dovuto alla memoria, al nostro condizionamento sociale, famigliare, culturale, attraverso il quale vediamo una frazione della situazione (e del mondo) che va inevitabilmente in conflitto con le visioni frammentarie di altre maschere fisse (sono incluse dinamiche molto profonde acquisite in epoche remote). Come un cattivo attore ci identifichiamo totalmente e pesantemente col personaggio che interpretiamo andando verso tutto ciò che conferma la realtà (effimera) di questa maschera, combattendo chi e cosa la mette in discussione.

La rigidità di questa maschera non lascia fluire le diverse situazioni e anzi impone loro la propria immagine seguendo gli schemi reattivi di desiderio/paura, separandoci dall’ambiente. Chi si prende per sergente lo sarà anche con i figli, chi si attacca morbosamente all’immagine di madre per dare un senso alla propria vita, non lascerà crescere i propri figli, chi si vede come vittima lo farà pesare in ogni contesto, arrivando a certe disarmonie funzionali con l'ambiente che generano tensioni e sofferenza dentro e attorno a noi. Non c’è scelta in tutto questo. Se la grazia ci attraversa si può realizzare tutto questo funzionamento.

Perché ci irrigidiamo nella personalità fissa e non la lasciamo andare come le maschere mobili una volta finita la situazione? Per paura. Paura di non esistere, paura di morire. Paura del vuoto, che è la Realtà di ciò che è. Ma il finito non può raggiungere l’assoluto, la tazza non può contenere il mare, la mente/maschera non può concepire il vuoto da cui emerge perché è indefinibile. Lo vede come un'assenza di forme, di vita, e si aggrappa con ostinazione al pieno, alle immagini di sé. In realtà quel vuoto è il Vuoto secondo le tradizioni orientali, l'Apertura, la Coscienza senza oggetto, un campo illimitato di possibilità, l’Essere prima di ogni qualificazione, da cui possono sorgere (e riassorbirsi) tutte le maschere appropriate per ogni situazione differente.

Non possiamo intenzionalmente levare le maschere. Chi vuol levarsi le maschere? L’io, la maschera fissa. Questo rifiuto di portarle parte comunque dall’agitazione della maschera stessa che si fa il film che saremmo migliori senza. La maschera per darsi un benessere psicologico crea e nutre una storia temporale, una fantasia di evoluzione, purificazione, miglioramento personale sperando in un futuro diverso (che non arriverà). Questo è il sogno che tutti viviamo, che prendiamo come reale finché ci crediamo ma che, visto per quello che è, perde la sua natura illusoria. Perché illusoria? Perché come dice Jean Klein, “la mente non cambia la mente” ma può solo illudersi di poterlo fare. Presto l’insoddisfazione ritorna e allora si cambiano lavoro, casa, città, partner, alla ricerca di qualcosa che è dietro di noi, l’ascolto globale di tutte queste storie.

Questa commedia personale ha comunque la sua ragione di essere finché dura e ci crediamo, è comunque un’espressione delle possibilità della Coscienza. Ma se la Grazia bussa attraverso la personalità (anche in modi più o meno dolorosi), ci si può rendere consapevoli della realtà parziale della maschera fissa, vedendo come sia agitata, tesa e inappropriata alle innumerevoli situazioni che la vita propone, senza frustrarsi per questa reattività ma anzi gioendo di vedere il suo funzionamento all’opera e quindi di esserne consapevole.

La visione infatti è la consapevolezza. La consapevolezza di questo condizionamento fisso è la libertà, cioè si sente che la maschera fissa appare sull’Essere e si vive la verità universale che non siamo solo una immagine personale limitata, bensì l'Apertura globale, su cui ogni maschera, il corpo, le emozioni, i pensieri e il mondo appaiono.

E pian piano, da sola, osservando le sue reazioni inappropriate e violente con la delicatezza che si ha con un cucciolo, la maschera fissa diviene meno densa, meno reattiva e nello spazio tra un’identificazione e l’altra emerge ciò che siamo, o meglio cio che è, ascolto globale (e non più personale) su cui il mondo, il nostro corpo, il senso dell’io separato e le sue situazioni appaiono. Si comincia così a vedere quando agiamo in modo funzionale e appropriato alle circostanze oppure re-agiamo secondo i desideri, le difese, le resistenze, le paure della nostra maschera fissa, la personalità, l’ego.

La cosa più difficile da accogliere per la mente è che non ci sia da fare nulla, ogni fare con intenzione proviene dalla maschera che resiste e difende sé stessa. Basta, come dice Baret, “vedere il meccanismo”, questa visione si farà carico tutto il resto. Se non credete possibile questo senza usare qualche metodo, strategia, pratica, siete totalmente identificati alla maschera fissa, e forse sentirete anche dell’irritazione leggendo queste parole. Nessun problema, non avete scelta, significa che per voi è ancora appropriato che l’identificazione con il sogno continui. C’è Shiva anche lì.

Se invece avete sentito una gioia perché questo orientamento incarna un vostro sentire profondo, allora non c’è più necessità di fare nulla con l’intenzione di ottenere qualcosa, restate in ascolto di quello che vi attraversa (anche quando torna la fantasia di ottenere qualcosa di spirituale con la pratica). Non c’è più verità da cercare, ciò che sentite è la Verità. In questa apertura non ammobiliata da intenzioni e pratiche utilitaristiche, la gioia senza causa farà da sola capolino nel corso delle vostre giornate, sorprendendovi quando meno ve lo aspettate. 
mistero emozione maschera
La quiete dentro la tempesta

"La suprema quiete non è la mente vuota e rimane durante tutte le attività." Jean Klein

Chi pratica yoga o medita potrebbe pensare che la tranquillità sia soggetta a una posizione corporea e a un respiro regolare in uno spazio isolato, lontano dalla frenesia della vita di tutti giorni. Quando poi nella quotidianità si vivono situazioni conflittuali che innescano emozioni intense, ci si agita per il sopraggiungere di tensioni e si cerca di recuperare l’equilibrio reprimendo la vita emotiva e inseguendo quello stato ideale che si aveva durante la pratica.

Le emozioni e la tranquillità non sono contrastanti anzi, la tranquillità è l’apertura che consente alle emozioni di dispiegarsi completamente e dissolversi nella tranquillità stessa. La suprema quiete come la chiama Jean Klein, ascolta gli stati di tensione fisica ed emotiva nella globalità invece di bloccarli, controllarli o dirigerli seguendo l’agitazione mentale. Le emozioni non sono un problema, la pretesa di non volerle sentire perché si “perde la calma”, sì.

I maestri delle arti da combattimento dimostrano che si può vivere la calma in mezzo a un confronto violento dove il corpo, il respiro e il battito cardiaco si muovono a ritmi vorticosi. Non solo, un’arte marziale è efficace proprio quando la frenesia delle azioni fisiche non pregiudica l’apertura che osserva imperturbabile il combattimento nella sua globalità, senza perdersi in un punto di vista personale e limitato.

l teatro integra la stessa possibilità a livello emotivo. Un attore può interpretare un assassino violento nella più completa tranquillità, sentendo tattilmente tutte le tensioni della scena senza che lui sia personalmente alterato, così da non far alcun male reale ai colleghi e a sé stesso, rimanendo presente a tutto nell'intensità del gioco teatrale. Questa consapevolezza profonda gli permette di scatenare uragani emotivi credibili, nel pieno della lucidità.

La presa di coscienza di questa possibilità apre un campo di esplorazione nella vita di tutti i giorni. Nelle varie circostanze conflittuali che capitano, se non ci si lascia portare via mentalmente dalla situazione, si può sentire l’agitazione, la paura, la rabbia nelle loro manifestazioni tattili nel corpo senza essere agitati, impauriti e rabbiosi. Questo ascolto è la tranquillità profonda assoluta e non la calma creata dalla mente vincolata a condizioni di respirazioni e posture.

Il teatro non duale esplora quella tranquillità profonda mentre si vive una frenesia di azioni fisiche ed emozioni poderose per rispondere in modo appropriato, autentico e integrale alle situazioni della vita di tutti i giorni.

Si può vivere la quiete durante la tempesta.
mistero emozione maschera
L'emozione non concettuale
Il teatro non duale celebra l'emozione non concettuale. Nella vita di tutti i giorni colleghiamo l'emozione alle sue cause apparenti e la blocchiamo nella storia della nostra personalità, la maschera. Sul palcoscenico, paradossalmente, attraverso il personaggio (una maschera con desideri e paure analoghe alle nostre), l'attore vive l'emozione in una corporeità disponibile che consente il suo dispiegamento globale e il suo riassorbimento nell'ascolto una volta finita la scena. La pratica sulla scena consente di rendersi disponibili al sorgere di emozioni sempre più intense, in un corpo sempre più ricettivo senza una distorsione psicologica. Come è possibile? Senza un riferimento alla maschera personale (ego), l'emozione è libera di rivelarsi in tutte le sue forme attraverso una maschera teatrale che protegge dalla paura di scomparire nell'Intensità della vibrazione (cosa che accade senza che l'io se ne renda conto). Per chi è maturo a lasciarsi andare, si apre allora un campo di esplorazione su sé stesso che porta svelare quell'Intensità anche nella vita di tutti i giorni.
mistero emozione maschera
Paura e cambiamento
"Gli avvenimenti che si presentano sono sempre inediti, ma per paura ci sembra di riconoscere le situazioni. Il nostro primo istinto è di dire no a ciò che mette in questione i nostri riferimenti personali." Eric Baret

Sulla scena un attore deve essere disponibile e ricettivo per accogliere tutti gli impulsi che gli consentono di trasformare e dare luce a tutte le sfumature della vita; quando questo accade, una maggiore intensità si dispiega. E' una delle cose più importanti e difficili da imparare per via di una innata resistenza al cambiamento che deriva dalla paura.

Nella quotidianità infatti, la nostra personalità, la nostra maschera, rifiuta le sollecitazioni della vita per paura del cambiamento, dell'ignoto, dell'imprevisto, continuando a dire "no" per difendere i propri schemi, le proprie piccole certezze.

Così facendo si guadagna in sicurezza psicologica ma si perde la possibilità di vivere globalmente le situazioni che si presentano e, come accade guardando uno spettacolo monotono, anche la vita di tutti i giorni annoia e perde l'intensità.
mistero emozione maschera
Intensità e vita quotidiana
Un personaggio sulla scena pena, soffre e reagisce emotivamente a tutto ciò che gli capita. L'attore che lo interpreta gioca a vivere queste emozioni in modo intenso e autentico senza essere implicato psicologicamente. Sente la rabbia nelle tempie, ma lui non è arrabbiato. Sente la tristezza nella gola, ma lui non è triste. Sente la gioia nel cuore, senza essere gioioso. Le emozioni sono evocate e vissute a fondo ma in piena lucidità. Alla fine della scena, lui è accaldato, sudato, ma senza residui dentro di sé, libero. Questa alternativa di esperire profondamente e liberamente la vita è possibile anche nella vita di tutti i giorni in ogni situazione che la nostra personalità/maschera affronta.
mistero emozione maschera
La maschera e l'immaginario
Il teatro non duale aiuta a scoprire sé stessi, il proprio funzionamento, i propri meccanismi reattivi davanti alle circostanze della vita. Celebra l'apertura al sentire del momento presente che nella vita viene continuamente bloccato dalla nostra "storia" personale che se ne appropria per sopravvivere psicologicamente e non svanire nell'intensità della vibrazione. Invece di lasciare vivere l'emozione fino in fondo e lasciarla andare, noi la blocchiamo nel nostro punto di vista sul mondo, la maschera, cioè l'immaginario individuale di desideri, paure, rimpianti e rimorsi del passato, speranze per il futuro. Un attore sulla scena fa la stessa cosa per interpretare un personaggio, si crea cioè l'immaginario di essere qualcuno e gioca a soffrire le aspettative frustrate, i conflitti irrisolti, le grandi passioni represse. Vedere il funzionamento del personaggio sulla scena può portare una consapevolezza di come nella vita di tutti i giorni la nostra maschera si infili negli stessi tunnel che portano tutti al medesimo esito, sofferenza reiterata e conflitto senza fine.
mistero emozione maschera
Cogliere l'inaspettato
Il teatro svela la vita. Nelle improvvisazioni quando un attore entra in scena con una idea pregressa di cosa fare, il risultato risulta forzato, complicato e artificioso. Invece di cogliere quello che la scena (il compagno e la situazione) spontaneamente offre e scoprire cosa suscita istante dopo istante nella sua immaginazione e sensibilità, l'attore spinge per imporre la sua idea. Questo volontarismo chiude la cooperazione, la creatività, l'intensità e l'imprevedibilità che sono il sale del teatro. Nella vita accade lo stesso, per paura di cosa accadrà e di restare vuoti, noi ci ammobiliamo di idee, progetti e propositi per il nuovo anno. Così facendo, l'idea di avere un programma ci dà sicurezza ma ci fa perdere in possibilità. La nostra intenzione infatti vela lo sguardo sugli impulsi freschi e nuovi che la vita dà ogni giorno ma che non sapremo cogliere perché filtreremo tutto in base a ciò che corrisponde al progetto, scartando ciò che non si addice a lui. Così facendo, noi riproporremo il nostro passato e ripeteremo le stesse esperienze sotto forme diverse in tutti gli aspetti della vita (sociale, sentimentale e lavorativo). Vedere il meccanismo di questi nostri comportamenti e l'agitazione da cui sorgono, ci riporta alla calma che consente di non incollarsi a progetti immaginari ma vedere la vita nella sua integrità. In questa apertura non ammobiliata si vedono delle aperture, delle vie, delle possibilità emozionanti che non avevamo neanche sospettato e si inizia a prendere confidenza con l'incertezza della vita, vista ora come una campo aperto di possibilità. "L'improvvisazione è rinunciare al previsto per cogliere l'Inaspettato" (Ariane Mnouchkine) Ti auguriamo di lasciare il previsto e aprirti all'Inaspettato.
mistero emozione maschera
Identificazione e distanza

La storia del teatro e le teorie della recitazione del XX° secolo hanno definito i due estremi in cui oscilla l’arte dell’attore. Da un lato una totale identificazione col personaggio e le sue emozioni e dall’altro una completa distanza da ciò che si interpreta. La prima conduce a interpretazioni intense ma prive di lucidità, la seconda a una espressività misurata che non tocca il pubblico anche se tecnicamente perfetta.

Come intuitivamente si sente, la verità è una sintesi di due opposti quindi, come i grandi maestri del teatro contemporaneo dimostrano, attraverso l'autentico gioco (come viene chiamata in molte lingue la recitazione) l'attore arriva a identificarsi con una distanza minima che consenta di essere liberi e consapevoli di ciò che interpreta in una duplice dinamica (attivo in espressione, passivo in ricezione degli impulsi esterni e interni che alimentano). Giocare a identificarsi, vivere una vicinanza che inneschi l’emozione ma una distanza che consenta la lucidità, la consapevolezza e il giusto disegno espressivo. Questo equilibrio tra distanza e vicinanza è proficuo non solo per l’attore ma anche per il teatro in generale.

“Il teatro ha bisogno della vicinanza della realtà e della distanza del mito perché se non c'è distanza non ti meraviglia e se non c'è vicinanza non ti emoziona." Peter Brook


Vuoi saperne di più? Visita le diverse sezioni del sito e in particolare la sezione Domande. Se non trovi la risposta al tuo quesito, scrivici!